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Italia Moderna 1945-1975

E’ tra il 1945 e i successivi trent’anni che l’Italia cambia i comportamenti sociali, si modernizza visibilmente sul territorio e nelle singole case, e muta l’orizzonte quotidiano, ed è  negli stessi anni che la cultura italiana si pone i problemi della Modernità (dopo la straordinaria anticipazione del futurismo, colonna portante del moderno) e tenta di risolverli attraverso processi ideali che diventano opere d’arte. (Marco Meneguzzo)

Italia Moderna 1945-1975.

Dalla Ricostruzione alla Contestazione, a cura di Marco Meneguzzo, è un grande progetto dedicato all’arte italiana del Novecento, con oltre centocinquanta opere provenienti dalle prestigiose collezioni di Intesa Sanpaolo. La mostra è un viaggio scandito in due tappe: la prima, dal titolo Le macerie e la speranza (conclusa ad agosto 2019) ha raccontato gli anni dal 1945 al 1960, durante i quali gli artisti hanno dovuto confrontarsi prima con le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale, poi con la ricostruzione e la rinascita del paese. “Attorno al 1960 – scrive il curatore Marco Meneguzzo – la società italiana ha quasi integralmente compiuto la sua rivoluzione, passando dall’essere una società agricola a una industriale in un brevissimo lasso di tempo. È il ‘boom’: della speranza, del benessere, della speranza di un benessere ancora maggiore, di una crescita che sembra inarrestabile e dove ogni idea sembra realizzabile”.

Il benessere e la crisi, seconda parte della mostra, rende invece omaggio all’Italia degli anni Sessanta e Settanta, mettendo in relazione il contesto storico, politico e sociale con quello artistico, rendendo evidente la forte e netta rottura con la cultura figurativa del passato. La previsione di una società nuova, proiettata nel futuro, era già nelle corde degli artisti (basti ricordare i vari manifesti dello spazialismo di Fontana e altri, redatto tra il 1946 e il 1952), ma è proprio attorno al 1960 che queste idee si coagulano e si concretizzano in modi e forme che contraddicono radicalmente le tendenze informali del decennio appena passato. Tra le peculiarità della svolta c’è da rilevare il radicale mutamento nella considerazione del ruolo dell’artista, con conseguente (o antecedente) riconsiderazione della funzione dell’arte.

Nella seconda metà degli anni Sessanta lo scenario è radicalmente cambiato: quando nel novembre 1967, sul numero 5 della neonata rivista d’arte «Flash Art», esce quello che viene considerato il “manifesto” dell’arte povera – Appunti per una guerriglia a firma del critico Germano Celant – il clima sociale e politico in Italia era alla vigilia di una stagione di rivolgimenti epocali, che qualcuno potrebbe anche definire prerivoluzionaria. Dall’inizio della contestazione, a partire dal 1967-1968 alla metà del decennio successivo e oltre, sino almeno all’assassinio di Aldo Moro (maggio 1978), il clima sociale in Italia si è andato radicalizzando. Da studentesca con qualche vena di anarchia dadaista, la contestazione è diventata operaia, politica e sociale, attraverso una lunghissima stagione di rivendicazioni e di azioni spesso molto violente, mentre tutto il filone individualista, pacifista, alternativo, comportamentale, libertario – indistinguibile all’inizio della protesta dalle altre componenti – riveste posizioni di alterità assoluta, rifugiandosi idealmente nel mondo hippy, nelle esperienze psichedeliche, nella libertà sessuale, nell’uso di sostanze stupefacenti, in una società utopica.

 

Poiché negli anni Settanta le prospettive erano quelle di una rivoluzione sociale e di costume, tutti gli intellettuali si sono interrogati sul proprio ruolo nella società declinante e in quella futura. Gli artisti non fanno eccezione e anzi sono tra quelli che sono stati più sensibili a questo clima culturale, complici con tutta probabilità i nuovi strumenti linguistici, processuali e tecnologici addottati dalle neoavanguardiegià nel decennio precedente. Di più, l’artista visivo era abituato almeno sin dall’invenzione della fotografia, nel XIX secolo, a ridefinire costantemente il proprio ruolo all’interno della società, e a questo punto il domandarsi negli anni Settanta “che ci faccio qui?” poteva addirittura sovrapporsi e coincidere con la propria attività artistica, anziché essere una sorta di indagine propedeutica. In altre parole, l’analisi del processo artistico, delle motivazioni intime dell’artista, della figura dell’artista nel sistema dell’arte, del ruolo dell’artista e dell’arte nella società diventa in quegli anni il soggetto stesso dell’azione e dell’opera d’arte, in una sorta di avvitamento metalinguistico su se stessi che produce però ricerche e, alla fine, opere nuove, centrate appunto sulle minime varianti di un processo operativo che vede ai poli del proprio orizzonte l’indagine sul linguaggio da un lato, e l’analisi della figura dell’artista dall’altro.

Esposte in questa seconda parte della mostra opere di grandi nomi del panorama artistico nazionale e internazionale, tra cui Enrico Castellani, Agostino Bonalumi, Mauro Staccioli, Giuseppe Spagnulo, Mimmo Rotella, Mario Schifano, Pino Pascali, Jannis Kounellis, Alighiero Boetti, Giuseppe Penone, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Luciano Fabro, Giulio Paolini. Il percorso espositivo si conclude con opere realizzate alle soglie dei primi anni Ottanta, l’ultimo grande momento di fama internazionale dell’arte italiana.

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