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L’innevamento artificiale

cannone al lavoro su una pista abetonese

I ricordi più belli, di chi come me ha ampiamente passato le 50 primavere, vanno a quando da bambini aspettavamo che babbo natale oltre alle piste e alle macchinine ci portasse anche il regalo più bello e cioè la neve. Purtroppo però, nei miei ricordi di bambino, ma anche di ragazzo, erano più le festività natalizie senza neve, rispetto a quelle in cui si poteva andare a sciare. Perché si, la neve era bella per fare le pallate, gli slittini o i pupazzi, ma la neve, anche da bambino serviva soprattutto per una cosa, per sciarci sopra. E come ho appena detto a Natale nel nostro Appennino é sempre stato ben difficile sciare, con la neve che iniziava a fare capolino spesso nel mese di gennaio senza contare gli anni in cui si faceva vedere, purtroppo, addirittura a febbraio. Ci sono stati anni eccezionalmente nevosi certo, come il 69, il 79, l’85 o in tempi più recenti il 2009 e il 2018, ma ci sono stati purtroppo anche anni orribili, passati praticamente senza nevicate, come l’89 e il 90, anni in cui anche sulle nostre montagne iniziarono a fare capolino i primi impianti di innevamento artificiale. Inizialmente importati dagli Stati Uniti dove un agricoltore che irrigava i suoi campi in inverno, vedendo che l’acqua spruzzata dagli irrigatori si trasformava in ghiaccio prima di depositarsi a terra ebbe la brillante intuizione che un sistema simile poteva essere di grande aiuto per le stazioni sciistiche per garantire un innevamento sicuro durante tutta la stagione invernale indipendentemente dalla presenza o meno di precipitazioni. Furono però Art Hunt, Dave Richey e Wayne Pierce che trasformarono questa intuizione in quello che oggi è comunemente chiamato cannone da neve quando nel 1950, se ne assicurarono il brevetto.

Nel 1952, il Grossinger’s Catskill Resort Hotel divenne il primo al mondo ad utilizzare la neve artificiale. Ma fu solo nei primi anni ‘70 che l’innevamento artificiale cominciò a essere ampiamente utilizzato.

Molte  stazioni  sciistiche oggi dipendono fortemente dalla produzione di neve e quindi sono enormi gli investimenti in ricerca volti a cercare di arrivare a produrre una neve che sia il più possibile simile a quella naturale, senza che sia necessario attendere temperature troppo basse e soprattutto con un bilancio energetico favorevole.

Infatti, se da un lato la qualità della neve artificiale é diventata assolutamente comparabile se non addirittura migliore rispetto a quella naturale, dall’altro, i costi per produrla sono tuttora estremamente elevati, con il costo per produrre un metro cubo di neve che varia tra i 2,5 e i 3 € in base alla temperatura esterna, al grado di umidità ed al tipo di impianto. Facendo l’esempio di una pista come la Zeno 3 dell’Abetone che é lunga circa 3 km, mediamente é larga 40 metri e deve essere ricoperta da circa 30 cm di neve, saranno perciò necessari circa 36.000 m3 di neve per poterla rendere correttamente innevata.

Il costo totale per rendere sciabile da zero una pista come questa si aggira pertanto intorno ai 100.000 €. Sempre facendo riferimento al comprensorio abetonese quindi, pensando ad un innevamento artificiale di un comprensorio tra Ovovia, Pulicchio e Val di Luce i costi si possono stimare tra i 4 e i 600.000 €. Tali costi sono composti da 3 elementi principali, costo dell’impianto, energia elettrica e personale necessario alla supervisione ed alla battitura delle piste. É abbastanza evidente che se da un lato i costi dell’energia e del personale sono dipendenti dal fatto di produrre o meno la neve, il costo di ammortamento dell’impianto é presente anche negli anni in cui la neve cade copiosa dal cielo e quindi non é necessario produrre neve programmata. In altri termini quindi la componente di costo della produzione neve incide sui bilanci delle società che gestiscono gli impianti di risalita anche nelle stagioni ricche di precipitazioni nevose. Questo pertanto ci fa capire come oramai la neve artificiale é talmente radicata nell’economia della montagna da essere impossibile da ignorare a qualsiasi livello, turistico, sociale e, come ampiamente esposto, soprattutto economico.

A questo punto rimane da analizzare un ultimo aspetto, non certo meno importante, l’impatto ecologico.

Partendo dal presupposto che le attuali tecnologie permettono la produzione di neve soltanto con acqua, senza nessun tipo di additivo chimico, e che la neve artificiale é molto densa e compatta e come tale con un tempo di disgelo più lungo, si può vederla come un serbatoio d’acqua a lento rilascio quindi perfettamente compatibile con l’equilibrio ambientale. D’altro canto però il consumo energetico richiesto é veramente elevatissimo e anche il rumore prodotto dai cannoni durante la produzione é molto forte, rappresentando così un disturbo alla fauna selvatica presente negli ambienti montani. La tecnologia però sta facendo passi importanti in entrambe le direzioni cercando di produrre impianti più efficienti e più silenziosi.

E’ molto importante soffermarsi poi sulle ricadute economiche e sociali che la produzione di neve artificiale ha sui territori montani, territori che nel corso del secolo scorso hanno subito un progressivo impoverimento che ha portato un conseguente spopolamento. Il turismo, invernale, caratterizzato soprattutto dalla pratica dello sci alpino, é riuscito in alcune zone ad invertire questa tendenza creando una serie di attività prima sconosciute a queste zone, che hanno permesso non solo la sopravvivenza dei vecchi residenti, ma addirittura in alcuni casi anche un incremento dovuto all’arrivo di nuovi lavoratori anche se nella maggior parte di casi soltanto stagionali. Attività come il maestro di sci, l’addetto agli impianti di risalita, l’operatore di battipista, solo per fare alcuni esempi, sono direttamente dipendenti dalla presenza di neve, ma é evidente che anche attività più tradizionali come l’albergatore o il negoziante di articoli sportivi sono legati alla presenza di turisti sul territorio.

Presenza di turisti che durante il periodo invernale é direttamente dipendente dalla copertura nevosa delle piste da sci. Come tale appare evidente la necessità di innevare le piste destinate allo sci alpino al fine di garantire la sopravvivenza degli abitanti legati ai territori di alta montagna durante il periodo invernale. E quindi gli ingenti investimenti necessari alla costruzione ed alla gestione degli impianti di innevamento programmato devono essere considerati funzionali non soltanto come supporto all’attività delle aziende che gestiscono gli impianti di risalita, ma anche e soprattutto come vero e proprio motore in grado di muovere tutta l’attività di una comunità residente in zone di montagna. Questo è diventato ancor più importante nel corso degli ultimi anni, durante i quali la tecnologia ha permesso un forte miglioramento della qualità prodotta dai generatori di neve rendendo quasi migliore la sciabilità assicurata dalla neve programmata rispetto a quella naturale che se in alcuni momenti è chiaramente inimitabile ha anche situazioni climatiche in cui diventa molto meno stabile e come tale meno piacevole per la pratica dello sci. Cosa che non è passata inosservata da parte degli appassionati tanto che il gap di presenze che esisteva al momento dell’installazione dei primi impianti di innevamento programmato tra giornate con neve naturale e giornate con neve programmata, inizialmente stimabile nel 50 % si sta velocemente riducendo fino ad essere quasi ininfluente in alcune stazioni alpine dotate di impianti particolarmente efficienti. Tutto ciò premesso speriamo che le nostre montagne possano in futuro ritrovare inverni degni di tale nome e che gli impianti di innevamento possano servire a rendere meglio fruibili le nostre stazioni ma non sia o i soli ad assicurarne la sopravvivenza. Buona neve a tutti.

Testo Rolando Galli

Foto Lorenzo Corsin

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