Grazie alle impalcature per il restauro è possibile osservare da vicino l’opera in terracotta invetriata realizzata nel Cinquecento.
Sono passati quasi cinque secoli dalla realizzazione del fregio che decora il loggiato dell’Ospedale del Ceppo e chissà quante persone hanno avuto modo di osservarlo dal basso, entrando in quello che è stato lo Spedale medievale (il cui primo nucleo risale alla seconda metà del 1200, ma che ha visto la realizzazione del loggiato nel Quattrocento) oppure nell’Ospedale moderno, attivo fino a poco tempo fa.
Dal basso lo hanno osservato anche molti frettolosi passanti e, in anni più recenti, i turisti arrivati per ammirare uno dei simboli di Pistoia e una delle più importanti opere in terracotta invetriata che si conoscano nel mondo. Tanto importante da essere stata parzialmente riprodotta e messa in mostra al Museo Puškin di Mosca (tra l’altro in grandezza originale) e al Victoria and Albert Museum di Londra e a tal punto capace di attraversare i secoli e di parlare, con il suo messaggio etico e religioso, ancora oggi, tanto che un suo particolare è stato scelto da Papa Francesco come immagine per l’anno giubilare della Misericordia.
Dopo secoli di visioni dal basso, è un sentimento a metà strada tra l’emozione e la commozione quello che accompagna il visitatore mentre sale le scale del ponteggio che copre attualmente la facciata e che permette di avvicinarsi al fregio non solo a coloro che si occupano del suo restauro ma anche a chi, da ora ai prossimi mesi, non si farà sfuggire l’occasione per ammirare da vicino sei delle sette scene che riproducono le Opere di Misericordia (Vestire gli ignudi, posta sul lato corto di sinistra del loggiato, non è infatti visitabile), commissionate a Santi Buglioni nel 1522.
Molti particolari osservabili solo grazie alla visione ravvicinata
Salendo le scale del cantiere accade di ripensare allo spedalingo fiorentino Leonardo Buonafede figura di mecenate dalla straordinaria sensibilità artistica che fece realizzare l’opera rivolgendosi a Giovanni Della Robbia per i cinque medaglioni sul fronte e i quattro mezzi medaglioni del portico e al Buglioni per le scene del fregio. Torna in mente, percorrendo gli scalini delle impalcature, che l’ultima delle sette opere di Misericordia, Dar da bere agli assetati, è stata realizzata cinquant’anni dopo dal pistoiese Filippo di Lorenzo Paladini, con una tecnica che ha saputo resistere con maggiori difficoltà alle insidie del tempo e anche con una inferiore sensibilità artistica.
Viene fatto di ripassare nella mente anche l’origine del nome “Ceppo” attribuito a questo luogo che assisteva i malati ma anche i bisognosi: l’origine leggendaria, secondo la quale a due anziani coniugi pistoiesi apparve in sogno la Vergine Maria, pregandoli di costruire un ospedale là dove avessero trovato un tronco d’albero secco (il ceppo, appunto, la cui rappresentazione ricorre in varie parti del fregio) miracolosamente fiorito in inverno; e l’origine storica, che assegna invece il nome al ceppo svuotato che veniva utilizzato come contenitore per raccogliere le elemosine e le offerte, fondamentali, nel corso degli anni, per la realizzazione e il mantenimento di questo luogo.
Eppure, giunti al livello del fregio, le informazioni possedute e arricchite dalle preziose osservazioni della guida, sembrano passare in secondo piano. Il visitatore resta a tu per tu con la bellezza e sente il bisogno di guardarla in silenzio. I colori delle immagini lo conquistano e lo coinvolge l’osservazione dei tanti accurati particolari. Lo sguardo si sofferma sulle pieghe delle vesti (e sulla studiata e armoniosa policromia), sugli oggetti (si pensi alla matula con il fondo di un giallo più intenso, ad indicare il liquido che contiene, probabilmente l’orina dell’infermo), sui piedi (calzati, con i sandali, incatenati nella figura che si ritiene rappresenti Cristo in Visitare i carcerati, nudi e con le dita irrigidite nel morto disteso sul catafalco), sulle barbe (come quella del benestante che, in Albergare i pellegrini, dona il suo letto ai viandanti bisognosi o quella della figura con l’aureola che, nella stessa sequenza, rappresenta probabilmente San Jacopo, patrono di Pistoia).
Anche le mani dei personaggi non smettono di stupire: le mani che reggono la brocca dalla quale cade l’acqua per la lavanda dei piedi, che sostengono le vesti, che portano il pane alla bocca, che trasportano i recipienti con il cibo o che, in Visitare gli infermi, in una delle sequenze più straordinariamente realistiche e plastiche, trattengono il braccio del medico e stringono il lenzuolo per paura del dolore. L’osservatore resta infine conquistato dagli sguardi dei personaggi. I volti parlano, siano quelli sofferenti e scavati dalla miseria degli affamati, quelli sereni delle figure femminili che, intervallando le scene, rappresentano cinque Virtù Teologali e Cardinali (la Carità, la Prudenza, la Fede, la Speranza e la Giustizia) o quelli dolenti della sequenza dedicata a Seppellire i morti, al centro della quale campeggia, come nelle altre, lo Spadalingo Buonafede, ma che è dominata dall’immagine di una donna, il capo velato e le mani congiunte in preghiera, con il volto abbassato e le lacrime che cadono dagli occhi. Lacrime che certo solo la visione ravvicinata consente di osservare.
TESTO
Giovanni Capecchi
FOTO
Nicolò Begliomini
Tecniche e fasi del restauro
Sono passati trentacinque anni dall’ultimo intervento di restauro, e ora questo capolavoro della scultura rinascimentale ha nuovamente bisogno di cure e di attenzioni, quasi fosse una persona avanti negli anni e a noi cara, di cui cerchiamo di comprendere meglio lo stato di salute, le annose patologie e soprattutto le cure più idonee e le attenzioni più efficaci. Per far questo l’Azienda Usl 3 di Pistoia ha promosso un progetto di restauro, definito e condotto dalla Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio di Firenze, da poco avviato. Il primo obiettivo è recuperare la piena leggibilità del testo scultoreo, rimuovendo dapprima i depositi e gli strati di polveri che offuscano l’accesa vivacità cromatica della ceramica invetriata, e poi attenuando le condizioni di degrado dei materiali ceramici, con vere e proprie tecniche ‘estrattive’. Successivamente si darà avvio all’operazione di restauro, con la parziale e cauta rimozione di quelle ricostruzioni ed integrazioni che saranno risultate nocive per la migliore conservazione dell’opera. Infine, si procederà alla ‘reintegrazione dell’immagine’ dell’opera, con il raccordo cromatico di lesioni, lacune e stuccature.
Il restauro rappresenta anche un’occasione di studio
Il diretto intervento sui materiali che compongono il fregio rappresenta anche un’occasione da non perdere per acquisire una conoscenza più approfondita della sua storia, delle vicende che ne hanno segnato la realizzazione e delle tecniche che sono state impiegate, anche nei restauri che si sono succeduti negli ultimi due secoli. Infatti, nella decorazione del loggiato sono intervenute due botteghe, quella dei Della Robbia e quella dei Buglioni, e ben tre differenti artisti, Benedetto Buglioni, Giovanni della Robbia e Santi Buglioni. La loro presenza in un unico testo figurativo ci consente di poter studiare e confrontare le diverse tecniche utilizzate, comparandole tra loro e con le banche dati già esistenti, sia per quanto riguarda il ‘biscotto’ (ovvero la terracotta, dopo la prima cottura), le vetrine e i colori a freddo, che per le modalità di montaggio dei singoli pezzi.
Proprio per questi motivi l’intervento di restauro è stato preceduto e accompagnato da una serie di indagini. Negli archivi delle Soprintendenze fiorentine sono state rintracciate notizie e indicazioni sui restauri precedenti, che in alcuni casi hanno aggiunto alla materia originale prodotti all’epoca ritenuti idonei ma che nel tempo si sono rivelati dannosi. Ad esempio, ora sappiamo che alla fine dell’Ottocento furono impiegate malte di cemento per la stuccatura delle commettiture tra pannelli ceramici. Ma soprattutto si stanno analizzando tutte le parti che compongono il fregio, con caratterizzazione chimico-fisica dei vari materiali, grazie alla collaborazione con l’Università di Urbino; così è stato possibile accertare che, a differenza di quanto riportato nell’ampia letteratura sul fregio, l’ultima scena realizzata cinquant’anni dopo le altre dal pistoiese Filippo Paladini, Dar da bere agli assetati, ora ritenuta in stucco ora in terracotta dipinta, è anch’essa in terracotta smaltata, con la presenza di vetrine piombifere opacizzate.
Inoltre, per documentare lo stato di conservazione e gli interventi di restauro in corso di esecuzione, il Laboratorio GeCO (Università di Firenze) ha effettuato un rilievo utilizzando le più innovative tecniche di acquisizione tridimensionale, mediante laser scanner e tecniche fotogrammetriche (ortoimmagini della nuvola di punti e ortofoto ad alta risoluzione). In tal modo si sono ottenuti modelli 3D texturizzati ed esplorabili sui quali sarà possibile riportare la mappatura del degrado, i punti di prelievo effettuati per le analisi di laboratorio e gli interventi effettuati dai restauratori. Ma la caratteristica dei modelli consente anche la loro utilizzazione per una visualizzazione interattiva. E inoltre sarà possibile realizzare la stampa tridimensionale, che potrà costituire uno strumento per esplorazioni didattiche dell’opera e potrà consentire anche a soggetti non vedenti la possibilità di toccare, e vedere con le mani, la bellezza del fregio ceramico delle Opere di Misericordia.
Dopo un’accurata spolveratura e dopo vari saggi di prova, si sta compiendo ora la pulitura del complesso decorativo, con impacchi estrattivi. Stanno riemergendo nella loro bellezza i colori squillanti delle invetriature, ma le superfici pulite consentono anche di vedere meglio i tanti problemi che affliggono il fregio: ridipinture, rotture, cadute di smalti, elementi di ancoraggio da verificare, parti ricostruite. Siamo dunque in una fase intensa di studio, di confronto e di discussioni operative, in cui vengono approfonditi i dati emersi dai primi interventi e dalle indagini scientifiche, per operare infine scelte consapevoli e finalizzate alla migliore conservazione di quello che a buon diritto può considerarsi uno dei più straordinari monumenti dell’arte scultorea in terracotta invetriata. E’ per questo che abbiamo voluto che i ponteggi del cantiere di restauro si aprissero alla visita di quanti vorranno avvicinarsi alla bellezza di questa opera d’arte, e alla complessità della sua conservazione.
TESTO
Maria Cristina Masdea e Valerio Tesi
(Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio, Firenze)