particolare con data.
Conosciuta a Pistoia semplicemente come ‘San Filippo’ e nota agli studiosi e cultori d’arte per le pitture settecentesche la chiesa rivela le sue origini romaniche a chi provenga da via Bozzi, già via San Prospero. La strada si slarga in una piazzetta triangolare dove, dall’imponente facciata settecentesca – realizzata in occasione della costruzione della soprastante Biblioteca Fabroniana – fa ‘capolino’ l’antica chiesa abbaziale di San Prospero, attestata almeno dal 1134. Dall’intonaco emergono l’archetto marmoreo di una bifora (pregevolmente lavorato a fogliami) e un lacerto di paramento murario in alberese a ricorsi bicromi alternati, entrambi databili al XII secolo; poco sopra si scorge quanto resta di un oculo lucifero con cornice a conci bianchi e neri, ugualmente lasciato in evidenza durante i restauri del 1986 e appartenente alla fase di sopraelevazione e allungamento della chiesa risalente al XIII secolo.
Giovan Domenico Ferretti e Lorenzo Del Moro, Gloria con San Filippo Neri, 1731, insieme.
Girato il ‘canto’, superato il maestoso impaginato di facciata settecentesco del fianco meridionale, procedendo verso via Abbi Pazienza si può notare una monofora gotica tamponata, recante incisa sul davanzale la data 1313: testimonia un secondo ampliamento che portò l’aula ecclesiale alle attuali dimensioni in pianta, se si eccettua l’espansione seicentesca del coro, ben riconoscibile dal diverso tipo di muratura. Più si guarda l’esterno di questa chiesa più si ha l’impressione di trovarsi dinanzi a un puzzle nel quale diverse epoche e diversi stili hanno posto la propria tessera. Non solo, dobbiamo immaginare il lato sud della chiesa, quello che ora fa da scenografico fondale a via Curtatone e Montanara, molto più basso, e fino a quasi quattrocento anni fa esternamente dipinto con figure di “monaci in abito nero”, come ci attesta il cronista Pandolfo Arferuoli; questi ci informa anche che nel 1622, anno della canonizzazione di San Filippo Neri, Girolamo di Taddeo Rospigliosi – famiglia il cui stemma ricorre nell’aula e nel presbiterio – finanziò la ristrutturazione interna della chiesa assai mal ridotta, così anche le tracce esterne del passato medievale sparirono. Ma occorre fare un passo indietro: la chiesa, già abbandonata dai benedettini e nel XVI secolo unita alla pieve di S. Andrea, dal 1600 era stata affidata alla Congregazione del SS. Crocifisso – una piccola comunità pistoiese di ‘preti di Riforma’ – dal 1610 ufficialmente aderente all’ordine filippino, seppur con alterne vicende. Per comprendere le successive trasformazioni dobbiamo entrare, e nella penombra scorgere gli affreschi sulla volta e nella parte alta delle pareti, dipinti a olio in quella più bassa. Ma per un istante occorre immaginarne la chiesa spoglia e leggere l’architettura, tornare al 1623 quando, appena rinnovato, l’interno si presentava nell’austero aspetto bicromo (pietra serena su intonaco bianco) di matrice tardomanierista, conferitogli dal progetto dell’architetto e scultore pistoiese Leonardo Marcacci.
Furono eretti anche quattro grandi altari lapidei, di patronato di altrettante nobili famiglie che vi apposero i loro stemmi e che li ornarono di pregevoli dipinti a olio, costituenti un ciclo cristologico che si conclude nel coro con la Crocifissione (di Giovanni Battista Ghidoni). Le tele degli altari furono affidate a maestri fra i più affermati del momento: l’Orazione nell’Orto e l’Andata al Calvario a Jacques Bilivert, la Flagellazione a Giovanni Lanfranco, l’Incoronazione di spine a Rutilio Manetti.
Giovan Domenico Ferretti e Pietro Anderlini, Resurrezione, 1746, insieme
Presumibilmente fra 1709 e 1715, data quest’ultima ricordata da una cartella di pietra in controfacciata, l’aula della chiesa venne arredata con un ciclo di otto tele ad olio, due per lato, compreso il prospetto del presbiterio, dedicate a miracoli e vari momenti della vita di San Filippo Neri.
Fra 1722 e 1727 la chiesa venne sopraelevata per iniziativa del cardinale Carlo Agostino Fabroni che, secondo il modello della sede dei Filippini a Roma, vi fece costruire una prestigiosa ‘Libreria’ atta ad ospitare la sua ricca biblioteca donata inter vivos agli Oratoriani di Pistoia. Contestualmente il generoso porporato acquisì e fece ristrutturare l’adiacente oratorio, già della Compagnia di Sant’Antonio Abate, donandolo ai Padri che iniziarono a tenervi i celebri oratori in musica, tipici del loro ordine e frequentati dalla nobiltà pistoiese. L’esterno, esteso all’oratorio e allo scalone della ‘Libreria’, fu riconfigurato scenograficamente con grandi pilastri e cornici, originariamente grigi a simulare la pietra serena. La chiesa ed i Padri avevano acquisito un rinnovato prestigio in città e questo probabilmente li indusse a maturare la decisione di rendere più sfarzoso l’interno dell’aula: nel novembre del 1729 deliberavano di far dipingere la volta della chiesa. La scelta ricadde su uno dei frescanti più rinomati del momento, il fiorentino Giovan Domenico Ferretti, proposto da Sebastiano Cellesi, nel cui palazzo ed in quello di Giovan Tommaso Amati (suo cognato) il pittore aveva dato prova di uno stile brioso e innovativo. Ferretti giunse a Pistoia nel settembre del 1730 insieme al quadraturista Lorenzino Del Moro, completando l’opera – nel frattempo ampliatasi anche agli altri “vòti” dell’aula – sette mesi dopo: gli affreschi suscitarono contrastanti reazioni in città per le mirabolanti architetture prospettiche che ‘dilatano’ lo spazio e per la leggiadrìa tutta rococò dei personaggi, dalle sfuggenti fisionomie. Al centro della volta la figurazione principale è la Gloria di San Filippo Neri, ritratto in abiti sacerdotali, mentre in estatica visione della Madonna ascende al fulgore del Paradiso. Il Santo è sospinto verso l’alto da angeli, su nubi che – con felice inventiva – ‘trascorrono’ velocemente su due arconi trasversali ad acuire l’illusoria percezione atmosferica di un cielo denso di vapori. L’inganno continua in corrispondenza dell’arco trionfale dove Fede, Speranza e Carità (virtù filippina per eccellenza) scacciano un demone che precipita oltre la vera architettura sullo sfondo di una nube dipinta su supporto ligneo.
Nel 1746 il giovane prete Giuseppe Ippoliti, bibliotecario e futuro vescovo di Cortona e di Pistoia, avrebbe finanziato il completamento della decorazione a fresco della chiesa: fu chiamato nuovamente il Ferretti, questa volta insieme al quadraturista Pietro Anderlini, a dipingere la cupola, i parapetti della cantoria e dell’organo e, soprattutto, la volta del coro con la Resurrezione.
testo Claudia Becarelli
foto Cristiano Coppi