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Novecento inatteso

Palazzo Amati Cellesi, già Amati, fu fra Sette e Ottocento la più ampia e sfarzosa residenza nobiliare di Pistoia ed è infatti noto per stucchi e affreschi per lo più di stile rococò. Pochi sanno che dietro l’imponente mole cela anche una pittura murale novecentesca, legata al suo uso come sede bancaria. L’edificio cessò di essere residenza nobiliare quando nel 1910 fu acquistato dal Piccolo Credito Toscano (dal 1930 Banca Toscana), che già nel 1905 vi aveva aperto una delle sue prime filiali. A partire dagli anni venti subì varie modifiche esterne ed interne, soprattutto al piano terreno, per adeguarlo alle esigenze dell’agenzia bancaria: fra queste la realizzazione, nell’ala meridionale, di una ampia sala ipostila destinata a salone delle operazioni. La sua parete di fondo, affacciata a sud su corso Fedi con due finestre, risulta interamente decorata da un affresco ad illusorio effetto di sfondato (7 x 12 m), eseguito nel 1970 da Romano Stefanelli (1931-2016), che si era formato frequentando fin dall’adolescenza la bottega di Pietro Annigoni. Il pittore, già conosciuto nel territorio pistoiese per aver affiancato il maestro nella decorazione della pieve di Ponte Buggianese, era famoso da almeno un decennio anche oltre i confini nazionali.

                                    Romano Stefanelli “Antichi mestieri della città di Pistoia”

Trovandosi nell’area aperta al pubblico di una centralissima agenzia, l’affresco di Pistoia dovette procurare anche in città una certa notorietà all’artista, che l’anno successivo fu invitato a tenere una mostra personale alla Galleria Valiani. Grazie al catalogo di una successiva esposizione milanese (1972) è possibile precisare il titolo attribuito dall’autore all’opera, nota a Pistoia senza una precisa denominazione, in “Antichi mestieri della città di Pistoia”. Data e firma sono state apposte su due targhette dipinte posate su un ripiano: nella prima si scorge la sola iniziale «S» (di Stefanelli), parzialmente coperta dall’altra, ad essa sovrapposta, recante la data «MCMLXX», in numeri romani secondo la consuetudine della scuola di Annigoni.
Il pittore ha concepito la decorazione pittorica senza soluzione di continuità e in stretta relazione con la tripartizione della parete generata dalle volte a unghiature su peducci tuscanici ed è stato abile ad articolare le scene in rapporto con le finestre reali: sotto l’arcata sinistra due donne sono intente ad attività riconducibili al lavoro nei vivai, una china su un arbusto piantato in un vaso e una in piedi impegnata a sistemare piante di alto fusto, le cui fronde in alto seguono la curvatura dell’arcata; nell’imbotte della finestra sono disposti illusionisticamente strumenti di lavoro. Sotto l’arcata destra è raffigurata la bottega di un calderaio, attività artigianale oggi scomparsa a Pistoia: a destra un giovane operaio in piedi lavora alla fucina, al centro un anziano artigiano, seduto su un panchetto, sta battendo il fondo di una sorta di paiolo in rame ancora incandescente. Secondo la testimonianza orale di Stefano Stefanelli, figlio del pittore, l’artista avrebbe dato alla seconda figura le sembianze del proprio padre Giacomo, già ritratto in giovinezza dallo stesso Annigoni. Sulla parete sono raffigurati numerosi arnesi da fabbro, appesi o appoggiati a un lungo bastone orizzontale confitto nel muro, e vari prodotti già finiti.

                                                 Donna intenta al lavoro agricolo

Al centro è simulata un’ampia apertura: appoggiato allo stipite sinistro è un uomo di profilo, con i capelli lunghi, il mantello sulla spalla destra, affusolate calzature ai piedi, assorto in lettura: l’immagine di un suo dettaglio nel catalogo della mostra alla Galleria Valiani permette di identificare questa misteriosa figura in Cino da Pistoia, a voler idealmente equiparare la tipicità produttiva dell’oggi all’eccellenza letteraria di ieri. Di fronte a lui si trova una conca di limoni e sullo sfondo, oltre un tratto di campagna, si scorge Pistoia, vista dalle colline a nord e riconoscibile per il campanile del duomo e la cupola della basilica della Madonna dell’Umiltà.
Si celebravano il lavoro agricolo (nel settore vivaistico) e quello artigianale della lavorazione dei metalli, di plurisecolare tradizione di Pistoia, dove negli anni sessanta e settanta del Novecento esistevano ancora botteghe di ‘ramai’. Si proponevano uno scorcio paesaggistico rasserenante, fortemente identitario, e la raffigurazione di operosi popolani intenti a quei lavori da cui derivava la ricchezza della città e del suo contado. Il tutto con un linguaggio semplice e plastico, legato alla tradizione figurativa italiana, proprio di Stefanelli e della scuola di Annigoni, dove sapientemente si coltivava – parimenti in controtendenza in un momento storico di sperimentazioni e contestazioni – una tecnica antica, quella dell’affresco.

                                                       Vecchio calderaio

L’opera, recententemente restaurata, è ora meglio apprezzabile nei suoi valori cromatici e luministici, che rendono le scene di lavoro ancora più ‘vere’, intrise di luce aurorale che pare piovere dalle finestre reali.
La Banca Monte dei Paschi di Siena, fino al 2020 proprietaria di palazzo Amati, conserva un gruppo di opere (tutte recanti la firma e la data “LXX”), particolarmente interessanti per ricostruire il processo ideativo: quindici disegni e un monumentale monocromo a tempera su tela (una sorta di bozzetto definitivo al vero) da cui risulta che vari personaggi erano stati originariamente pensati in posizioni diverse.

Testo Claudia Becarelli, Paolo Benassai

Foto Nicolò Begliomini

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