A meno di 10 km da Agrigento, nella città di Favara, con una popolazione di circa 30.000 persone, si trova un centro storico fiorente fin dalla preistoria che negli ultimi tempi è andato incontro a un forte spopolamento a causa della mancanza di opportunità per i giovani e le famiglie.
Il notaio Andrea Bartoli e l’avvocato Florinda Saieva, una coppia di collezionisti d’arte con una grande passione per la cultura contemporanea e il sogno di migliorare piccole porzioni di mondo – genitori di due bambine – desideravano fare qualcosa per fermare l’abbandono e la marginalità del loro territorio. Non hanno aspettato che qualcuno cambiasse la loro città, ma hanno deciso di dedicare tutta la loro vita a un grande processo di trasformazione.
La famiglia Bartoli ha così proposto un progetto di rigenerazione delle strutture esistenti e nel 2010 è nato Farm Cultural Park. Uno spazio in cui una comunità di abitanti e talenti creativi lavora su problemi e strategie di intervento, cercando di sfruttare al meglio le proprie risorse, per riutilizzare, rigenerare, reinterpretare, rivitalizzare e coltivare. Un vero e proprio laboratorio e una fucina di innovazione sociale per una città che fino a ieri era sconosciuta persino ai siciliani: e questo, davvero, è un piccolo miracolo.
L’obiettivo principale di questa iniziativa è quello di creare trasformazioni culturali nei luoghi urbani per mostrare le possibilità della creatività umana, affrontando le sfide e le opportunità di oggi creando una nuova via d’uscita, cercando con forza di arrestare il generale degrado strutturale, sociale ed economico della città, infondendo nuova vita attraverso l’arte e l’architettura.
Proviamo a saperne di più parlandone con Florinda Saieva, avvocato e ideatrice, con il marito Andrea Bartoli, di questo “miracolo” che può essere di esempio per molte altre realtà del nostro paese.
Buongiorno Florinda e grazie per questa intervista. Dal vostro libro Platform for Change abbiamo tratto le indicazioni che voi date per creare un polmone verde: visione, comunità, continuità e racconto. Quali sono stati i risultati più importanti che avete avuto seguendo questo canovaccio?
Grazie a voi per l’opportunità di far conoscere Farm Cultural Park ai vostri lettori! Per quanto riguarda comunità e visione uno dei risultati più importanti che abbiamo ottenuto è che realizzando una società per azioni impresa sociale abbiamo piegato lo strumento capitalistico per eccellenza a delle finalità sociali. In piena Pandemia abbiamo chiesto ai cittadini chi è che ha contribuito di più al cambiamento di Favara. I risultati ottenuti hanno evidenziato che sono stati proprio loro che hanno unito le loro forze verso un obiettivo comune. A quel punto ci siamo detti perché non mettere insieme tutte le nostre risorse di cittadini, compresi parte dei nostri risparmi e investirli in progetti sociali in grado di creare davvero quell’economia circolare oggi assolutamente determinante per lo sviluppo delle comunità, delle città e dei territori? Abbiamo allora creato questa impresa sociale Spa con l’obiettivo di realizzare micro azioni in grado di generare ricadute positive sul nostro territorio. La continuità è assolutamente essenziale perché spesso le realtà del terzo settore realizzano progetti spesso non preoccupandosi troppo del tipo di ricaduta che possono avere sul territorio: queste organizzazioni sovente non hanno grande futuro e continuità tanto che spesso finisce il bando e poi finisce anche il progetto…. Quella che abbiamo fatto con Farm è invece creare dei presidi culturali permanenti a prescindere dal progetto, in modo che rappresentino sempre un punto di riferimento importante per la comunità. Infine, abbiamo capito fin da subito che le cose vanno raccontate ben prima di iniziare materialmente le azioni che portano alla concretizzazione dell’iniziativa, perché la corretta comunicazione assume oggi un ruolo importantissimo per il raggiungimento dei risultati che ci siamo prefissi in fase progettuale.
Altre frasi che abbiamo sentito dire da te sono “le città cambiano perché sono le persone che le fanno cambiare” e “la condivisione è un atto di moltiplicazione” e poi anche concetti importanti come il fatto che l’ ”effetto Farm” ha contribuito a creare fiducia, speranza, voglia di cambiamento, orgoglio, senso di appartenenza…. Cos’è che sta dietro a tutto questo e come l’esperienza di Farm Culture, operativa da 13 anni, può aiutare realtà emergenti nel terzo settore?
Tutti noi non dobbiamo assolutamente aspettarci che qualcuno faccia le cose per noi, magari continuando a lamentarci che qualcosa non va. Io solitamente chiedo alle persone qual è il ruolo che loro occupano all’interno della società in cui vivono, al netto di essere genitori, figli, nonni, mariti, mogli e del lavoro che fanno. Tutti noi viviamo all’interno di una sorta di contenitore formato dalle città e dal mondo e dobbiamo domandarci cosa stiamo facendo materialmente per svilupparli, visto che le città non crescono e si sviluppano culturalmente da sole. Purtroppo, la nostra società ci ha portato a minimizzare il ruolo che il singolo cittadino può avere nel contesto in cui vive e proprio in questa ottica la definizione che la condivisione è un atto di moltiplicazione assume un ruolo importantissimo perché a partire dalle cose materiali per finire con quelle immateriali, mettendo insieme esperienze, volontà e competenze riusciamo senza dubbio a realizzare idee e progetti che da soli non riusciremo certamente a concretizzare. Noi in Farm abbiamo messo a disposizione della comunità tutto quello che abbiamo in una logica di utilità comune, forti del concetto che condividendo tutti possiamo fare esperienze diverse, utili per la crescita sia personale che della comunità di cui facciamo parte. E’vero che Farm ha generato fiducia, speranza e voglia di cambiamento in un contesto molto difficile come quello di Favara, come è altrettanto vero che questa nostra iniziativa dimostra inequivocabilmente che le cose, se si vuole, possono accadere.
Ci parli un po’ del vostro ultimo progetto “Abbiamo tutto ma manca il resto”. Cosa sta dietro a questo titolo e quali intenti ci sono?
“Abbiamo tutto ma manca il resto” è una frase del celebre attore siciliano Pino Caruso e da questa e dalla certezza che la nostra è una regione in sofferenza cronica siamo partiti per la realizzazione di questo progetto che vuole trovare soluzioni per mettere a valore tutto quello che la Sicilia può offrire. Una sorta di provocazione, una lotta contro certi mostri che non riescono a far decollare questa terra come dovrebbe e meriterebbe dicendoci le cose, in puro stile Farm, così come sono realmente e senza nessuna bugia, invitando gli artisti e i creativi a riflettere su questo argomento. Se la politica e i cittadini non ce la fanno, facciamoci aiutare dall’arte raccogliendo spunti e idee che possono diventare il punto di inizio di nuove progettualità e nuovi racconti in grado di portarci a costruire, insieme, quel resto che ci manca. Abbiam iniziato il 15 settembre i nostri viaggi alla scoperta di comunità siciliane che stanno costruendo questo “resto che manca” e devo dire che è stato davvero emozionante e molto formativo. Oggi siamo tutti molto teorici, ma toccare con mano e vedere realtà che ce la stanno facendo è davvero molto importante per proseguire un cammino che poi segnerà il futuro, sia il nostro che quello delle nuove generazioni.