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San Biagino, tesoro romanico nascosto nei vicoli di Pistoia

La chiesa venne dedicata a San Biagio nel XVI secolo, è stata sconsacrata nel 1802 e, dopo un intervento di ristrutturazione, ha riaperto le sue porte al pubblico nel 2015.

Nel punto più alto sul livello del mare, nel cuore del centro storico di Pistoia, imperniata nel groviglio delle strette strade cittadine, sorge la chiesa di San Biagino. Dall’esterno l’edificio romanico appare come un vero e proprio scrigno che custodisce la memoria storica ed artistica del Medioevo pistoiese.

La chiesa viene citata per la prima volta nella bolla di Anastasio IV del 1153: essa sorgeva nel borgo che portava il nome di un certo Guitterardo ed era originariamente intitolata a Santa Maria. Nel 1063 lui e la moglie, Imilia, entrambi di origine longobarda, avrebbero donato alla canonica di San Zeno la piccola chiesa ed una serie di abitazioni poste lungo la strada principale del borgo, l’attuale via del Fiasco, tra via Abbi Pazienza e via delle Pappe, poi noto come Borgo Strada. Vicino alla chiesa era la Porta Putida di Pistoia, che consentiva ai pellegrini di passaggio di accedere più agevolmente alla chiesa entrando dall’ingresso nord della città, lungo via de’ Rossi.

Nel XVI secolo si decise di dedicare questo luogo al culto di San Biagio, di cui conservava come reliquia la falange di un suo dito: la chiesetta venne così rinominata dai Pistoiesi semplicemente come “San Biagino”.
Una visita apostolica alla fine del XVI secolo rivelò il pessimo stato della struttura e la presenza nella canonica di alambicchi, fornelli e strumenti farmaceutici vari usati dal rettore Forteguerri, che era stato un esperto speziale e aveva allestito un orto dei semplici nella corte della canonica.

Con l’avvento dell’Illuminismo, nel 1784 il vescovo di Pistoia, Scipione de’ Ricci, dispose la chiusura di San Biagino al culto, sebbene il parroco abbia continuato indefesso per alcuni anni ad officiarvi la messa. Poco dopo, nel 1799, durante l’occupazione francese, la chiesa ospitò il comandante della piazza di Pistoia, che da qui si mosse alla testa di un corteo per piantare l’albero della libertà in piazza del Duomo.

La definitiva soppressione di San Biagino fu decisa con rescritto granducale del 22 giugno 1802: da allora la chiesa fu adattata a magazzino e deposito.

Dal 2015 San Biagino ha aperto di nuovo le sue porte al pubblico grazie all’intervento di restauro curato da Massenzio Arte Artigiana e all’Associazione Athena Arte.

Ciò che colpisce maggiormente in San Biagino è, forse, l’unitarietà dello spazio della chiesa. La volumetria, infatti, si mostra compatta ed in se stessa conclusa: un bianco paramento in blocchi ben squadrati di alberese cinge il perimetro rettangolare della chiesa sulla piazzetta San Biagio, che fu teatro per decenni dei sanguinosi scontri fra le famiglie dei Vergiolesi da un lato e dei Ravenni dall’altro.

La facciata principale reca, come solo ornamento, il portale trilitico in pietra serena, impreziosito dall’archetto zebrato, scandito da conci ora in marmo di Carrara, ora in serpentino verde di Prato ed ingentilito da una cornice arcuata con rosette in rilievo. Quest’unica licenza alla semplicità del romanico ne caratterizza l’identità pistoiese, quasi un richiamo al genius loci, ed incorona l’ingresso primario senza concedergli troppi fronzoli, lasciando appena spazio ad un piccolo affresco oggi perduto. Nella parte sommitale della facciata, il largo sbrano ricucito con una fitta trama di mattoni rossi, là dove oggi si apre un finestrone rettangolare, è la conseguenza di un antico intervento di restauro, seguito al rovinoso incendio del 1340 che distrusse parzialmente l’edificio.

Più elegante e generoso in fatto di decorazione è invece l’accesso situato sul prospetto laterale. Il candido trilite marmoreo intagliato dichiara sull’architrave: MORONES SERVUS S. MARIE FEC. IMPL. HOC OP, ricordando come il suo committente, tal Morone, implementasse l’opera del primo fondatore della chiesa, Guitterardo.

Due snelle colonne corinzie in pietra serena delimitano il portale e sostengono, appena al di sopra di esse, due leoni posti a destra e a sinistra dei capitelli intagliati: dei listelli posizionati sul dorso delle figure zoomorfe e del secondo giro di foglie d’acanto recano una doppia ghiera di archetti, anch’essi zebrati ed incorniciati, come quello della facciata principale. È per queste fiere trionfanti, mentre stringono fra gli artigli l’una un uomo, l’altra un animale selvatico, che penetriamo all’interno dello spazio culturale.
Qui è di nuovo un volume unitario ad accogliere lo sguardo: l’impianto planimetrico romanico si fonde con l’alzato nel segno della navata unica, così come in effetti conviene ad una chiesa dalle dimensioni modeste. Lo spazio si dilata sul fondo della navata in un’abside semicilindrica posta alle spalle dell’altare.

Proprio gli interni hanno conosciuto, nei secoli, maggiore fortuna decorativa. A partire dal XV secolo, quando, in virtù della reliquia di san Biagio che lì si volle conservare, la chiesa fu intitolata al vescovo armeno e fino al XVI secolo, le pareti, incluse quelle absidali, godettero di un ampio intervento di riqualificazione architettonica e pittorica, in linea col nuovo gusto. Rimangono ancora oggi gli altari in pietra serena e gli affreschi baroccheggianti, realizzati poco prima che l’edificio cadesse in rovina.

In particolare, nel periodo in cui San Biagino si fregiò del patronato e del mecenatismo dei Manni, nel corso del Seicento, la chiesa venne arricchita con una pala d’altare raffigurante la sacra conversazione commissionata a Giuseppe Nicola Nasini per esaltare l’altare maggiore, oggi conservata presso la chiesa dello Spirito Santo. Quasi contemporaneamente un’Annunciazione fu realizzata per uno dei due altari laterali. Prima della sconsacrazione del 1802, al corredo iconografico di San Biagino venne infine aggiunta una Santa Lucia del Casanova, al cui culto, oltre che a quello di San Biagio, i parrocchiani avevano tributato particolare devozione.

 

Testo a cura del FAI Giovani Pistoia: Francesca Fanini e Eleonora Guzzo

foto di Nicolò Begliomini

 

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