Eccoli, tutti al lavoro, anzi, in servizio, come detta il lessico ferroviario. Sono nove e insieme formano una grande squadra, quella che tutti i giorni, seguendo una tradizione inaugurata nel 1998 e dura a morire, si occupano di riparare, revisionare, mantenere in uso le locomotive a vapore e gli altri mezzi storici della Fondazione FS che corrono sui binari senza tempo della rete ferroviaria italiana.
Silvio è il volto-simbolo del gruppo: basco scuro calato sulla fronte e una folta barba a incorniciare il viso. Originario di Biella, lavora a Pistoia da tre anni ma nella vita ha fatto di tutto: il boscaiolo, il revisore di caldaie, una lunga esperienza da restauratore di moto d’epoca. Il volto espressivo ci dice che in lui non c’è soltanto la sapienza legata al mestiere ma anche un inconfondibile stile di vita: amante dell’India, ha studiato le filosofie orientali ed è solito alternare al lavoro la pratica della meditazione. Lo osserviamo mentre ripara la struttura della caldaia di una locomotiva a vapore.
Roberto, prima di trasferirsi al Pistoia cinque anni fa, faceva l’imbianchino a Città di Castello ma da tempo coltivava una irrefrenabile passione per i treni, tanto da rappresentare un’eccellenza tra i tanti volontari che nei momenti liberi si dedicano al restauro dei mezzi storici.
Pierluigi è pistoiese, un diploma di ragioniere ma un amore viscerale per i motori. Anch’egli legato all’ambiente del volontariato, ha lasciato il lavoro di magazziniere in una concessionaria di automobili per entrare, cinque anni fa, a far parte del team pistoiese dopo averlo frequentato a lungo come amatore. Il tanto agognato contratto è arrivato nel 2016.
Pietro, invece, è un veterano. Empolese doc, macchinista nel Genio ferrovieri, come gli altri legato al mondo degli appassionati, da venticinque anni percorre l’Italia in lungo e in largo alla guida dei treni a vapore. Riccardo è a Pistoia di passaggio. Si occupa di ingegneria della manutenzione dei rotabili storici al DORS di Milano e occasionalmente si unisce al gruppo: i suoi interventi sono determinanti.
E finalmente una donna, Elisabetta, nello staff da un mese poco più. A lei, che si è appassionata ai treni seguendo le orme del padre, è affidato il compito di riordinare l’archivio, coordinare l’organizzazione degli eventi – convegni, spettacoli, esposizioni ed altro – e di guidare le visite dei numerosi turisti che arrivano da ogni dove per visitare il museo a cielo aperto, reso meraviglioso dopo il recente restauro che ha interessato tutta l’area a fianco della stazione, sulla via Pertini. Le nuove leve, ultimi eredi di una tradizione, sono Mattia e Matteo. Il primo è arrivato a Pistoia dalla Sicilia: a Castelvetrano collaborava con la Fondazione FS occupandosi del restauro di rotabili a scartamento ridotto. Il secondo, Matteo, invece, viene da Tirano, all’estremo settentrione d’Italia, a due passi dal confine con la Svizzera. Ventidue anni, un diploma di perito industriale, una fidanzata appassionata di treni conquistata con la stessa passione con cui si carpisce a tutti i costi un mestiere, la determinazione, oggi rara tra i giovani della sua età, di staccarsi dalla famiglia di origine e andare a lavorare lontano. Ripara le macchine e impara a guidarle. Nel suo prossimo futuro c’è il sogno, concreto a realizzarsi, di diventare il più giovane macchinista di mezzi storici di Italia.
In cima alla piramide sta il capo deposito, Paolo, un giovane di mezza età, amante, come tutti i suoi predecessori, dei motori e delle donne. Un’esperienza consumata, accumulata in oltre trent’anni di pratica dai colleghi che adesso sono in pensione, lo ha reso infallibile. Serio e accigliato, ma al contempo sempre incline allo scherzo e alla battuta, organizza, pianifica e coordina le innumerevoli attività. L’atmosfera che si respira in officina è serena e goliardica, salvo quando il carico di impegni si infittisce e lascia percepire la tensione che trasuda dalle pareti delle due grandi officine. Una tensione positiva, che produce l’energia necessaria a sostenere ritmi di lavoro al limite dell’umano. Uscito a pieni voti dal ITI “Meucci” di Firenze, macchinista ferroviere a vent’anni, Dallai ha ricevuto in dote dalle vecchie guardie del vapore la passione per le locomotive e per i mezzi d’altri tempi. “Ho imparato quest’arte da chi un tempo la svolgeva quotidianamente: dagli uomini che, assuefatti al vapore, viaggiavano in coppia, macchinista e fuochista. Convertiti per necessità all’uso di macchine sempre più moderne, sicure e funzionali, hanno assistito ad un progresso frenetico, quello che ha portato dal vapore ai Frecciarossa, senza mai perdere l’amore per i bei tempi, il calore di un esercizio manuale, il gusto delle relazioni umane e l’intensità dell’amicizia profonda.
Devo loro un mestiere, e mi sento addosso la responsabilità di chi non vuole che questa tradizione muoia, non per un gusto esteriore e pittoresco, ma perché la storia e la memoria sono fondamentali per ogni esperienza di vita”. “Vorrei ricordare – aggiunge commosso – tra i molti che ci hanno lasciato, il mio maestro, un autentico padre putativo: Pierluigi Terreni, che ho conosciuto a Livorno frequentando la Scuola per macchinisti. Quel che in lui mi ha sempre affascinato è stato l’amore per il lavoro e per l’azienda FS, insieme all’attitudine ad affrontare ogni aspetto del mestiere con l’ardore del novizio, con l’entusiasmo di chi ha sete di crescere. Sua abitudine era di rimanere fino a tardi, ben oltre l’orario canonico, a dipanare dubbi e a soddisfare le curiosità degli allievi. Capodeposito a Livorno negli anni ’70, mi ha letteralmente costretto ad intraprendere la sua stessa carriera in un momento della mia vita in cui non riuscivo a riconoscermi un particolare talento. Evidentemente sia lui che Walter Fabbri, altro capodeposito di lungo corso, mi avevano scelto come depositario della loro sapienza e dei loro segreti. Ecco perché mi sento in dovere, oggi, di fare altrettanto con le nuove leve”.
Mentre scriviamo il lavoro scorre. Perché in deposito si lavora, sempre, tanto. Pochi gli intervalli – il desinare di mezzogiorno, la pausa caffè d’inverno e quella per il ghiacciolo d’estate – ma necessari a scambiare qualche battuta sull’universo femminile o sui giocattoli degli appassionati, spesso insieme ai volontari in pensione che arrivano a metà giornata per unirsi al coro e dire la loro. Perché tutti i bambini amano i treni, e per educarli a mantenere questa sana passione bisogna diventare tecnici eccellenti con l’entusiasmo dell’infanzia.
Testo Chiara Caselli
Foto Nicolò Begliomini