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Tutto quello che vuoi è al di là della paura

Un’avventura davvero incredibile, complicata e resa a tratti molto difficile dall’avvento della pandemia in ogni angolo del mondo.

Sono salpato l’11 gennaio del 2020 dall’isola di Saint Lucia nei Caraibi come first mate di Milanto, uno sloop di 14 metri armato per le tratte oceaniche. Valerio Bardi ed io avevamo previsto di finanziare l’impresa ospitando fino a un massimo di 6 compagni di viaggio nelle diverse tratte del giro del  mondo.
Così siamo partiti traversando tutto il Mar dei Caraibi fino a Santa Marta, in Columbia, navigando su un mare di onde di 3-4 metri che correvano come cavalli in una grande prateria dai riflessi smeraldini. Abbiamo fatto tappa a Cartagena e alle Isole San Blas degli indigeni Kuna per traversare il canale di Panama ed entrare nel Pacifico. Le isole Galapagos sono apparse all’orizzonte all’alba di un giorno di fine febbraio, maestose e verdi, come un paesaggio primordiale. Man mano che ci avvicinavamo riuscivamo a distinguere i picchi vulcanici e le scogliere scoscese del Leon Dormido di fronte all’isola di San Cristobal. Seguendo le descrizioni di Darwin ho esplorato i crateri vulcanici e i tunnel di lava; ho visto tartarughe centenarie, iguana, leoni marini, pellicani, pinguini. Ho fatto immersioni insieme a un’infinità di pesci fra cui squali martello, mante e barracuda.
Siamo partiti di nuovo tenendo la prua verso ovest sospinti dagli Alisei. La notte Orione indicava la rotta da seguire e la Croce del Sud brillava al traverso insieme a milioni di stelle sopra la nostra piccola barca, che come un guscio di noce avanzava miglio dopo miglio nella vastità dell’oceano. I groppi temporaleschi e il passaggio dei fronti freddi sono molto comuni a queste latitudini: sembra di entrare nella bocca dell’orco, in pochi minuti il cielo si fa nero, il mare s’ingrossa e ti vomita addosso vento, pioggia e fulmini.
L’isola di Hiva Oa, nell’arcipelago delle Marchesi, ci è apparsa prima dell’alba, scura nella notte, con i suoi rilievi montuosi a picco sul mare. Siamo entrati nella baia di Atuona al mattino, passando sotto speroni di roccia scura avvolti dalle nuvole come due guardiani dell’isola. Subito dopo aver dato fondo all’ancora ci siamo resi conto che tutto era cambiato. Le autorità locali ci hanno intimato via radio di restare a bordo e attendere in quarantena. Durante le tre settimane che avevamo passato in mare la pandemia aveva raggiunto il mondo intero. Le notizie che ci arrivavano erano preoccupanti: i porti del Pacifico proibivano ogni accesso, la navigazione interdetta, i voli soppressi. Non scorderò mai la rotta verso Tahiti. Seguivamo lo stesso itinerario compiuto da James Cook nella sua prima esplorazione della Polinesia. Di notte leggevo i suoi diari e mi sembrava di rivivere quei tempi. Nessuno in mare, non una barca, neanche un cargo.
Passando attraverso gli atolli delle Tuamotus l’arcipelago sembrava deserto, non un aereo in cielo, le spiagge bianche contornate dalle palme erano come incantate sotto il sole dei tropici. Il tempo si era veramente fermato. Le isole della Società, così senza l’ombra di un turista, erano di straordinaria bellezza: rade incontaminate dalle acque cristalline e pesci dai mille colori all’interno delle barriere coralline. Ricordo che quando siamo entrati nella laguna di Bora Bora la luna sorgeva sopra il vulcano, gli unici suoni percepibili erano quelli degli uccelli e dello sciabordio delle onde sotto il nostro scafo.

                    La navigazione in Oceano è sempre molto impegnativa

Avessimo dovuto scegliere usando la ragione, sarebbe stato sensato fermarci come hanno fatto tutti gli equipaggi delle altre barche in quel periodo di incertezza; mettere al sicuro Milanto e prendere un volo di rimpatrio per l’Italia. L’anno seguente avremmo continuato il viaggio. Ma sentivamo di non dover abbandonare il nostro sogno. E allora di tratta in tratta siamo andati avanti: il viaggio è diventato una vera e propria Odissea.

Abbiamo trascorso circa un mese alle isole Fiji prima di salpare per la navigazione più lunga. Il governo australiano, che avevamo contattato tramite l’ambasciata italiana a Canberra, non concedeva nessun approdo.
Siamo stati costretti a passare fra le isole Vanuatu, navigare al largo della Papua Nuova Guinea per raggiungere, attraverso lo Stretto di Torres, l’isola di Lombok in Indonesia. Qui siamo stati accolti dopo un mese di navigazione.
Sull’isola vivevo con la comunità dei surfisti locali, aspettando le onde e preparandomi alle prossime difficoltà che avremmo dovuto affrontare: quelle dell’oceano Indiano, il più insidioso. Fin dai primi giorni di navigazione entrambi i motori elettrici del pilota automatico sono saltati e abbiamo dovuto proseguire alternandoci al timone. Eravamo ormai solo in tre e i turni sono diventati molto duri per i continui temporali che ci sorprendevano, per la navigazione sotto spinnaker anche di notte e le onde al traverso che facevano rollare Milanto come dentro una lavatrice. Ricordo ancora la felicità e lo stupore di vedere apparire all’orizzonte i vulcani di Reunion svettare maestosi in mezzo all’oceano nella luce dell’alba. Ci siamo fermati per riparare l’autopilota, riposarci e vivere l’isola.


A Reunion è sceso anche l’ultimo nostro ospite. Siamo rimasti soltanto Valerio ed io a proseguire il viaggio. Ci attendeva la tratta forse più impegnativa: scendere di latitudine, passare a sud del Madagascar per raggiungere il Sud Africa attraversando quella che è considerata una delle coste più pericolose del mondo per le onde altissime della corrente di Agulhas quando si scontra con i venti contrari. Le colline verdi e le dune di sabbia che scendono fino al mare del South Africa sono apparse al decimo giorno di navigazione.
Arrivare in Africa per noi è stato come un sogno che si avvera. Nei parchi nazionali dello Zululand eravamo i soli visitatori. Passato il Capo di Buona Speranza, in una notte di luna piena, abbiamo raggiunto Cape Town trovando un’ospitalità che non dimenticherò mai. Il giorno in cui siamo partiti c’erano tanti amici a mollare i nostri ormeggi in banchina per augurarci un ritorno.

Testo e Foto Lorenzo Cipriani

Illustrazione Chiara Guidi

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