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La necessità della bellezza

Villa e giardino Garzoni a Collodi. Mano dell’uomo e meraviglia della natura.

Prima di divenire famoso per aver fornito, se non i natali, almeno lo pseudonimo a Carlo Lorenzini – il ‘padre’di Pinocchio – il borgo di Collodi fu celebre per la villa e il giardino Garzoni la cui fama aveva valicato i confini del ducato di Lucca già nel XVIII secolo. La villa e giardino costituivano un unitario complesso strutturatosi fra Sei e Settecento, assumendo l’aspetto che, fortunatamente, ancora conserva con poche alterazioni. L’ imponente dimora gentilizia, che torreggia, è proprio il caso di dirlo, sull’alto di una rupe, colpisce l’attenzione di chi risale la valle della Pescia lucchese, mentre ai suoi piedi, sul fianco di un declivio più ampio e dolce, si dispiega il giardino, quasi appartato, con asse di simmetria ruotato rispetto a quello dell’edificio. E dietro l’ampia facciata di quella che pare una reggia, le case del borgo si inerpicano su per il crinale, fino all’antica chiesa di San Bartolomeo, lungo l’unica strada, che un tempo passava proprio dal portone della villa. Già, perché questa sorse sulle rovine di un fortilizio medievale, conservando un rapporto di tipo feudale col borgo, raggiungibile solo dal 1940 con una moderna strada carrabile. Entrati nel cortile della nobile dimora (oggi chiusa al pubblico e in attesa di restauri interni) pare di fare un salto indietro nel tempo.
La strada lastricata si snoda con le sue gradonate, passando davanti alla cappella gentilizia, fino alla porta (ora sempre serrata) che immette nella piazzetta di S. Antonio, all’inizio del paese. La vera meraviglia, però, è suscitata nel moderno visitatore, al pari che nell’antico viandante, dalla Palazzina d’estate che si erge dirimpetto all’androne di accesso al cortile. Era una sorta di residenza minore, più appartata e di scala, anche psicologicamente più idonea agli agi della vita domestica: vero gioiello rococò dalle ali concave progettato da Filippo Juvara, vero big del suo tempo.

Villa e giardino Garzoni a Collodi

Visitate le sontuose sale affrescate della dimora principale e la pittoresca cucina (qui trascorse alcuni anni della sua fanciullezza Collodi giacché la madre era cameriera dei Garzoni) si esce a malincuore da questo mondo di fiaba per dirigersi a valle verso l’ingresso del giardino. La meraviglia, però, si rinnova, giacché proprio questo era l’obbiettivo dell’arte barocca: in un sontuoso parterre pianeggiante, con aiuole quasi ricamate, ci accolgono pietrificati fauni che suonano, Flora, Diana e, immancabili, Apollo e Dafne mentre gli zampilli di due vasche circolari contribuiscono a rallegrare questo luogo di delizie. Da qui il terreno sale, prima con un parterre “all’inglese” in cui si stagliano tre stemmi dei Garzoni a mosaico in pietra e quindi con terrazzamenti, dove il visitatore accaldato può ripararsi nella frescura della grotta di Nettuno. Il giardino, esposto a Ovest, è, infatti, ben soleggiato, tantoché, nel cosiddetto “viale delle palme”, rigogliosissime, un tempo si coltivavano spalliere di agrumi.
Lasciata dietro questa natura armoniosa e razionalmente ordinata, lo scenario cambia, diviene più inquietante. La vegetazione ad alto fusto di due boschetti si stringe intorno all’asse centrale. Una doppia ripida gradonata si inerpica ai lati di una “scala” d’acqua dove la mano dell’uomo ha riprodotto finte rocce, apparentemente naturali. Soprattutto, con un’acuta sensibilità prospettica, l’architetto Ottaviano Diodati seppe suggerire, dal fondo di queste cascatelle, la presenza di un grottesco mascherone a bocca aperta. Salendo, però, l’inganno si svela e la fatica dell’ascesa, quasi un percorso iniziatico, è premiata, oggi, dallo spettacolare panorama del giardino, un tempo dal refrigerio di cui dame e gentiluomini potevano godere dentro ai “bagnetti termali” posti alla sommità del colle. I nobili frequentatori del giardino potevano, spostandosi verso la villa, perdersi e ritrovarsi nel labirinto di siepi di bosso, nel boschetto di bambù, passeggiare su ponticelli che scavalcano il Rio Canalaccio, sotto gli occhi vigili di divinità di pietra o allegri villani che popolano il giardino. A noi, figli della società dell’utile, non resta che convincersi della necessita della bellezza.

 

TESTI

Claudia Becarelli

FOTO

Fabrizio Antonelli

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