Attraversare, scoprire e vivere la palude interna più vasta d’Italia.
Ci sono infinite storie legate al Padule di Fucecchio: documentate, tramandate, vere e verosimili. Il condottiero Annibale attraversò il padule durante la sua incredibile avventura militare per la conquista di Roma (217 a.C.). Il cartaginese, come racconta Tito Livio, perse un occhio proprio mentre cercava di superare la rischiosa area lacustre, impantanato con i suoi elefanti mentre cercava di dirigersi verso il sud della Toscana in prossimità dell’Arno. In ogni storia è sempre l’acqua ad avere il ruolo da protagonista: negativo o positivo. È proprio il valore simbolico attribuito alla presenza dell’acqua che tratteggia un profilo storico e culturale di questa straordinaria area umida. Ancora nel Medioevo le popolazioni del Valdarno di Sotto, nonostante il ristagno delle acque e l’insalubrità dell’aria, non avevano nessun interesse a risolvere i grandi disagi sofferti da chi viveva dall’altra parte dell’Arno, gli abitanti dei castelli collinari della Valdinievole e del Montalbano. Le attività ittiche e venatorie erano più importanti delle malattie causate dall’impaludamento, di conseguenza la percezione del padule era completamente discordante fra chi sfruttava le risorse naturali e chi era costretto a vivere sulle colline adiacenti l’area lacustre.
A proposito di percezione e problemi da risolvere, come non ricordare i progetti di Leonardo da Vinci, attento osservatore delle condizioni idrogeologiche della Toscana del Nord di inizio Cinquecento? La copiosa presenza di acqua nell’area occupata dal Padule di Fucecchio è infatti rappresentata in alcuni dei suoi disegni (1500-1503). Al pari delle storie dell’antica Roma, queste testimonianze ci restituiscono delle narrazioni straordinarie: le illustrazioni leonardiane sembrano fotografie zenitali di quel tempo, preziose prove del rapporto fra i grandi personaggi del passato e un luogo certamente inconsueto. Un ambiente naturale che prima delle grandi bonifiche del Seicento era ancora percepito in modo ambiguo, amato e odiato, ma in ogni modo affascinante per chiunque si fermasse a osservare. Probabilmente fu così anche per il Granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici, fautore delle bonifiche che portarono ad una graduale presa di possesso del suolo, creando le premesse per la nascita del sistema delle fattorie granducali e degli insediamenti di pianura. Anche dopo le trasformazioni paesaggistiche degli ultimi secoli, il fascino della zona umida è rimasto intatto.
Oggi attraversare il padule seduti nel barchino o sul navicello è senza dubbio un’esperienza unica. Il barchino, come negli ultimi secoli, è ancora usato per la caccia e pesca, mentre il navicello, date le maggiori dimensioni, era utilizzato dai cosiddetti “padulini” per il trasporto delle merci via acqua. I barcaioli fanno accomodare i loro passeggeri in prossimità del porto chiamato Casino del Lillo (Ponte Buggianese). Una volta lasciata la sponda, questi inusuali traghettatori spingono l’imbarcazione con il forcino, alternando i movimenti da un lato e dall’altro, rinnovando una gestualità antica. Il barchino si muove lentamente fra le “cannucce”, accarezzando la fitta vegetazione che prima nasconde e poi svela rari scorci del paesaggio toscano.
Durante la navigazione si possono osservare le erbe palustri ancora utilizzate per la realizzazione di vari manufatti: il sarello, la sala, la gaggia, il biodo e poi alberi ad alto fusto. La fauna osserva prudentemente il passaggio dell’uomo. Il tragitto silenzioso da una sponda all’altra del padule assume il significato di un viaggio nel tempo, alla riscoperta della civiltà contadina, ancora viva nella memoria di questi luoghi. In lontananza si ammirano le colline del Montalbano con le cave del colle di Monsummano, gli antichi castelli medievali; sul lato opposto le colline delle Cerbaie e poco distante filari di viti, olivi e cipressi.
Attraversare, scoprire e vivere il padule da questa seduta privilegiata, oggi avrebbe sicuramente emozionato anche Annibale, Leonardo da Vinci e qualche illustre personaggio mediceo. Ma questa è un’altra storia…
TESTO
Emanuel Carfora
FOTO
Alessio Bartolini
Nicolò Begliomini
Luigi Bellandi