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I diamanti di Pistoia

La mineralogia è una scienza che ancora oggi appassiona migliaia di persone, dallo scienziato al semplice curioso, che raccolgono e conservano rari esempi di rocce e cristalli dagli infiniti colori e dalle varie forme. Ancora oggi alcuni di questi si spingono nelle montagne sopra Pistoia a cercare alcune pietre orami quasi introvabili ma ben conosciute soprattutto fra il 1500 e il 1800, i Diamanti di Pistoia. Queste pietre erano molto apprezzate un tempo da artigiani e scultori che le avevano utilizzate per lavori spesso di elevato valore artistico alcuni delle quali ancora oggi sono visibili in alcuni musei. L’area pistoiese peraltro non era nuova alla presenza di alcuni cristalli che potevano essere facilmente utilizzati per il loro valore artistico e scultori che le avevano utilizzate per lavori spesso di elevato valore artistico alcuni delle quali ancora oggi sono visibili in alcuni musei. L’area pistoiese peraltro non era nuova alla presenza di alcuni cristalli che potevano essere facilmente utilizzati per il loro valore artistico e scultori che le avevano utilizzate per lavori spesso di elevato valore artistico alcuni delle quali ancora oggi sono visibili in alcuni musei. L’area pistoiese peraltro non era nuova alla presenza di alcuni cristalli che potevano essere facilmente utilizzati per il loro valore artistico (1730-1779) che ai diamanti della montagna dedicò addirittura un capitolo del suo libro “Delle produzioni naturali del territorio pistoiese” edito nel 1762. Le gemme erano talmente trasparenti e così simili a diamanti che addirittura nella collezione medicea c’è un anello realizzato (forse su commissione dello stesso granduca Francesco I) alla fine del’500 con questi minerali della montagna pistoiese.

Queste pietre note anche come cristalli di monte, erano dei quarzi, molto compatti e trasparenti che emergevano dal terreno o erano facilmente reperibili negli strati di arenaria di tutta la montagna pistoiese, dal Lago Scaffaiolo, alle montagne di San Marcello, Lizzano, Spignana, Gavinana, ed ancora al Monte Crocicchio, a Sambuca, a Badia a Taona, a Pracchia e Uzzo. Per quanto apprezzati erano sicuramente sottovalutati anche se l’uso principale, secondo Matani, consisteva nell’intagliarli e farne gemme false, monili da portare “al collo, alle orecchie, e nelle dita dalle Donne per accrescimento della bellezza, di cui quel Sesso debole fa molta pompa” (a dire il vero questo commento si attirò le critiche di misoginia nella Frusta letteraria diretta da Giuseppe Baretti, noto letterato del secolo dei Lumi) e anelli come quelli ancora oggi presenti nelle collezioni mineralogiche fiorentine. Ma una descrizione meno nota è quella che presenta Giovanni Targioni Tozzetti nei suoi manoscritti dove “Le Montagne di Pistoia, ci somministrano in copia grandi iridi cipolline bellissime, le quali mercé la loro chiarezza, ed il gran spirito, sono comunemente chiamate Diamanti di Pistoia [Viag. Ed. II. T. 6, p. 379]”. A dire il vero anche Giovanni Targioni Tozzetti, allora uno degli scienziati più famosi del granducato, pose delle critiche al Matani, soprattutto sulle sue teorie sulla costituzione di questi cristalli. Nei suoi manoscritti le chiama “iridi cipolline bellissime” e grazie ad una lettera di Jacopo Lori, parroco di San Marcello, possiamo aggiungere che “vi si trovano in quantità. Ne ha Marcello, Cutigliano e più di tutti la Sambuca” e che “si sperimenta di una durezza che ha di gran resistenza: […] ed acquista figura di una buona gioia, come molti ci hanno fatto vedere”.

Tuttavia il principale utilizzo era per “tagliare i vetri” e “Il paese non ne fa uso, ne’ smercio, se non in caso che la curiosità di taluno ne facesse ricerca”. Più recentemente l’attenzione scientifica di questi trasparenti cristalli ha portato illustri ricercatori ad una analisi più approfondita. È il caso del prof. Edoardo Billows (1871-1944), mineralogista dell’Università di Cagliari, che pubblicò nel 1904 una nota dal titolo “Studio cristallografico sul quarzo di San Marcello P.se” (Rivista di Mineralogia e Cristallografia Italiana n° 31). Il suo studio era basato su una raccolta di circa 2000 quarzi del pistoiese raccolti dal prof. Ruggero Panebianco, docente di mineralogia nell’ateneo padovano e del quale Edoardo Billows era assistente, che passava parte delle sue vacanze su queste montagne. Nel suo studio evidenzia forme a tramoggia e corrosioni simili a quelli del bolognese (Porretta Terme) benché diversamente da quest’ultimi, non presentino tracce di inclusioni di acqua. In effetti molti di questi quarzi sono di una trasparenza unica tanto da giustificare il nome di “diamanti di Pistoia o luci come comunemente vengono designati dagli abitanti del sito”. Esemplari spesso perfetti che non presentano sulle facce dei vari cristalli neppure le striature orizzontali tipiche dei quarzi. La maggior parte di questi campioni viene riferito essere stata trovata in località monte Crocicchio (1366 m s.l.m.), che si trova poco sopra l’abitato di Gavinana (San Marcello Piteglio).

Il quarzo (SiO2) è uno dei minerali più diffusi nella crosta terrestre e, per questo motivo, in natura si presenta con un gran numero di varietà. Normalmente viene suddiviso in quarzo macrocristallino, con cristalli ben visibili ad occhio nudo, microcristallino con cristalli visibili solo al microscopio e criptocristallino, ovvero con aggregati cristallini non visibili neppure al microscopio. I nostri diamanti di Pistoia rientrano chiaramente nella prima categoria, benché di dimensioni non particolarmente grandi, ma con una trasparenza eccezionale, tanto da poter essere paragonati ai ben più noti “diamanti di Herkimer”. Questi ultimi furono scoperti all’inizio del ventesimo secolo in gran quantità nella Contea omonima, a New York, e furono denominati diamanti per la limpidezza, il lustro, la biterminazione e la naturale sfaccettatura.

Peraltro nella valle della Lima non era raro trovare altri cristalli simili ma colorati, (famose erano le colorate “iridi cristalline” che si trovavano nelle varie wunderkammer dei collezionisti di cose naturali ) molto ricercati per la loro bellezza e rarità. Ma l’uso dei cristalli di monte o diamanti di Pistoia non sembra essersi mai sviluppato ne’ incrementato. Forse oggetti troppo piccoli, forse di difficile lavorazione, i diamanti di Pistoia sono stati consegnati alla curiosità mineralogica. La storia tuttavia ci può far riflettere su quante risorse del nostro territorio sono poco considerate o non vengano prese in considerazione.

Ringraziamo l’amico Giovanni Gargini per il prezioso materiale bibliografico che ci ha fornito. Per coloro che fossero interessati a vedere alcuni campioni di “diamanti di Pistoia” è possibile visitare il Museo Naturalistico Archeologico Appennino Pistoiese (Ecomuseo Montagna Pistoiese) presso Palazzo Achilli, Gavinana (San Marcello Piteglio).

testo Simone Vergari, Gianna Dondini, Daniele Vergari

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