In origine fu la Sala Dominici Regis, cioè il luogo in cui si era stabilito il comando dei Longobardi da quando Pistoia era divenuta loro “città regia” (fine del VI secolo); il mercato principale altomedievale era in piazza del Duomo.
È curioso constatare come nell’arco del tempo sia avvenuto un radicale cambiamento fra i due ruoli: la piazza principale cittadina come sede del potere sia religioso che civile, la limitrofa piazza della Sala come “ventre” della città. In effetti il mercato che vi si tiene è da secoli quello alimentare; ed anche la sua toponomastica ne fa fede. Non a caso ancor oggi si contano fra i nomi delle sue strade e stradine via del Cacio, via del Lastrone (dove si vendeva “il pescio”, recita un antico documento), via dei Botteghini. Logicamente alla vendita dei generi alimentari si aggiungeva quella delle tante altre cose utili per la casa; come cenci e vestiario (via di Stracceria), pentole e oggetti in rame (via de’ Ferri), utensili ed attrezzi (via de’ Fabbri). C’era spazio anche per diverse osterie: citate negli antichi scritti quella della Nave, dominata da una certa Tina che doveva essere una procace locandiera e quella del Leone che dà il nome ad un mezzo vicolo ancora esistente. Il quale sfocia in vicolo dei Fuggiti, che allora si chiamava scopertamente dei Topi. Antiche attribuzioni fanno capire che nel comparto mercantile c’erano anche barbitonsori, calzolai e speziali; infatti qualche anno fa in via di Stracceria i lavori ad una facciata hanno fatto riemergere un’antica insegna farmaceutica.
Ma la vendita maggiore era quella degli alimenti, soprattutto verdure e carni. Quest’ultime erano merceologicamente diversificate fra gentili e feriali. La prima qualifica, lo si comprende bene, era quella di prima scelta; la seconda era rivolta alle carni guastate perché azzannate dalle diverse fiere presenti nel contado. Tutte le merci erano vendute in quanto disposte su apposite panche (tuttora esistenti), che spesso venivano affittate da una vera e propria autorità come l’Opera di Sant’Iacopo, avente la funzione di pubblica annona. L’Opera stessa si occupava anche di un altro commercio, dandolo in gestione a privati: quello della prostituzione, perché al lato della piazza principale c’era uno spazio quasi interamente occupato da un ampio fabbricato indicato nei pubblici documenti come “la casa delle donne cortesi”. La cosa non deve stupire perché la prostituzione era considerata – dal Comune, ma in qualche modo anche dalla Chiesa – come un servizio sociale per il primo, come un male minore per la seconda. Quando nel Cinquecento il lupanare fu spostato e l’edificio demolito, si aprì un ampio spazio che fu detto la “Sala nova”, poi divenuta piazza del Pesce e infine degli Ortaggi. Sui diversi angoli delle case perimetrali spiccano ancora gli stemmi delle famiglie un tempo qui residenti: ad esempio i Panuzzi, i Rossi Cassigoli, i Fioravanti, i Mazzei, i Cellesi. La Chiesa era rappresentata in tutto il quartiere da ben quattro edifici religiosi dedicati rispettivamente a Sant’Anastasio, a San Michele detto in Bonaccio, a Santa Maria del Giglio e a Santa Maria (dove ora sorge l’odierno battistero) il cui attributo “in Corte” ricordava appunto l’antica corte longobarda.
Il Pozzo del Leoncino; simboli araldici sulla trabeazione.
Tutte queste attività, in particolare quelle commerciali, avevano bisogno di acqua; ed infatti fino dai tempi più antichi esisteva un pozzo in cui spesso andavano a finire avanzi vari con l’impatto olfattivo che è facile immaginare. La struttura fu risanata e in particolare nel Quattrocento fu dotata di due colonne sormontate da una trabeazione attraverso la quale era possibile calare i secchi per attingere l’acqua. A dimostrazione dell’oculata gestione pubblica si può ricordare che una di queste colonne fu reimpiegata dai resti dell’antichissima vicina chiesa di Sant’Anastasio, mentre l’altra fu scolpita ex novo; infatti ancor oggi se ne coglie la differenza. Nel secolo successivo sopra la trabeazione, che porta simboli araldici e i segni del culto del patrono cittadino, fu posto il Marzocco fiorentino, cioè il leone araldico di Firenze. Ci si è chiesti: come elemento di protezione o di dominio? In realtà l’occasione fu data da una scorreria di truppe nemiche che transitavano in Toscana e stavano per invadere anche Pistoia. La città si rivolse a papa Clemente VII, un Medici, che con la sua protezione scongiurò il pericolo. Ed allora gli amministratori pistoiesi, grati, posero la scultura del Marzocco fiorentino che sostiene lo stemma di Pistoia.
È utile ricordare inoltre che sulla Sala nova si affacciava (ed ancora si distingue l’entrata) anche il piccolo ghetto degli ebrei, dove risiedevano le poche famiglie di razza ebraica esistenti in città.
Oggi la Sala è diventata invece il luogo della “movida” giovanile. Le due piazze e le strade che vi conducono si animano la sera grazie a numerosi ristoranti e cocktail bar. È insomma il salotto cittadino ed è curioso che l’originale denominazione della piazza si attagli così bene alla destinazione odierna. Ci si vede sulla Sala per cenare con gli amici, bere un drink in compagnia, ascoltare musica e assistere ad eventi di vario genere. Una destinazione ambita non solo dai pistoiesi, ma anche dai giovani delle città limitrofe che evidentemente apprezzano un luogo d’incontro che ha origini veramente antiche.